lunedì 30 giugno 2014

Aforisma di lunedì 30 giugno 2014

Kaliméra di Luciano Ligabue: "C’è qualcuno che può rompere il muro del suono? Il cerino sfregato nel buio fa più luce di quanto vediamo (  Speranza )".
Havete!
Don Carlo
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“Errare è umano, perdonare è divino.”
Alexander Pope


domenica 29 giugno 2014

Aforisma di domenica 29 giugno 2014


"La santità è amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come noi stessi.”
San Padre Pio da Pietrelcina
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Kaliméra "sui generis": Genesi 2, 15: "Il Signore Dio prese l’uomo, lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse".
Don Lorenzo Milani, quasi a commento: "Abbiamo imparato a mettere nel più assoluto disonore l’economia con le leggi dall’uomo imposte alla natura ( Oikosnomoi ) per intronizzare al suo posto l’eco-logia ( Oikos-logos ) dove l’uomo si mette finalmente in dialogo con la natura".
Havete!
Don Carlo

sabato 28 giugno 2014

Aforisma di sabato 28 giugno 2014

"Il perdono è veramente 'il solo modo per dissolvere l’ira e ristabilire la speranza'."
Robert D. Enright
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Kaliméra di M. Zatterin per anniversario attentato all’Arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, 28 giugno 1914, prima guerra mondiale con oltre 10 milioni di morti e danni incalcolabili (a futura memoria): "Un attimo di silenzio e un patto di concordia potrebbero ribadire che, solo se si impara a non dimenticare, è possibile andare avanti senza vergognarsi di sé".
Havete!
N.B. -  46 anni fa sono diventato prete!?
Don Carlo

venerdì 27 giugno 2014

Il Papa: Dio, Papà tenero che ci ama e ci tiene per mano


Per comunicare il suo tenero amore di Padre all’uomo, Dio ha bisogno che l’uomo si faccia piccolo. È il pensiero che Papa Francesco ha sviluppato all’omelia della Messa del mattino presieduta a Casa S. Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra il Sacro Cuore di Gesù.Non aspetta ma dà, non parla ma agisce. Non c’è ombra di passività nel modo che il Creatore ha di intendere l’amore verso le sue creature. Papa Francesco lo spiega all’inizio di un'omelia nella quale si sofferma sul “cuore” di Gesù, celebrato dalla liturgia. Dio, ha affermato, “ci dà la grazia, la gioia, di celebrare nel cuore di suo Figlio le grandi opere del suo amore. Si può dire che oggi è la festa dell’amore di Dio in Gesù Cristo, dell’amore di Dio per noi, dell’amore di Dio in noi”:
“Ci sono due tratti dell’amore. Primo, l’amore è più nel dare che nel ricevere. Il secondo tratto: l’amore è più nelle opere che nelle parole. Quando diciamo che è più nel dare che nel ricevere, è che l’amore si comunica: sempre, comunica. E viene ricevuto dall’amato. E quando diciamo che è più nelle opere che nelle parole, l’amore sempre dà vita, fa crescere”.
Ma per “capire l’amore di Dio”, l’uomo ha bisogno di ricercare una dimensione inversamente proporzionale all’immensità: è la piccolezza, dice il Papa, “la piccolezza di cuore”. Mosè, ricorda, spiega al popolo ebreo di essere stato eletto da Dio perché era “il più piccolo di tutti i popoli”. Mentre Gesù nel Vangelo loda il Padre “perché ha nascosto le cose divine ai dotti e le ha rivelate ai piccoli”. Dunque, osserva Papa Francesco, quel che Dio cerca con l’uomo è un “rapporto di papà-bambino”, lo “accarezza”, gli dice: “Io sono con te”:
“Questa è la tenerezza del Signore, nel suo amore; questo è quello che Lui ci comunica e ci dà la forza alla nostra tenerezza. Ma se noi ci sentiamo forti, mai avremo l’esperienza della carezza del Signore, le carezze del Signore, tanto belle… tanto belle. ‘Non temere, io sono con te, io ti prendo per mano…’. Sono tutte parole del Signore che ci fanno capire quel misterioso amore che Lui ha per noi. E quando Gesù parla di sé stesso, dice: ‘Io sono mite e umile di cuore’. Anche Lui, il Figlio di Dio, si abbassa per ricevere l’amore del Padre”.
Altro segno particolare dell’amore di Dio è che ci ha amati per “primo”. Lui è sempre “prima di noi”, “Lui ci aspetta”, assicura Papa Francesco, che termina chiedendo a Dio la grazia “di entrare in questo mondo così misterioso, di stupirci e di avere pace con questo amore che si comunica, ci dà la gioia e ci porta nella strada della vita come un bambino, per mano”:
“Quando noi arriviamo, Lui c’è. Quando noi lo cerchiamo, Lui ci ha cercato prima. Lui è sempre avanti a noi, ci aspetta per riceverci nel suo cuore, nel suo amore. E queste due cose possono aiutarci a capire questo mistero dell’amore di Dio con noi. Per esprimersi ha bisogno della nostra piccolezza, del nostro abbassarci. E, anche, ha bisogno del nostro stupore quando lo cerchiamo e lo troviamo lì, aspettandoci”.

Il Papa annulla la visita al Gemelli -


Gemelli, il cardinale Scola
legge l'omelia del Papa
Una lieve indisposizione ha impedito a Papa Francesco di recarsi nel pomeriggio al Policlinico Gemelli di Roma per l'annunciata visita nel 50.mo di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica. "Gli impegni del Santo Padre in agenda per sabato 28 e domenica 29 giugno sono confermati - ha riferito padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana - non vi sono motivi di preoccupazione per la salute del Papa". Dispiaciuti i vertici della struttura così come i 5mila fedeli in attesa del Pontefice. La messa è stata celebrata nel piazzale degli Istituti Biologici dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano e presidente dell’Istituto Toniolo che è l’ente fondatore del Gemelli. Il porporato ha letto l'omelia preparata dal Papa.Il dispiacere per il mancato incontro con il Papa si trasforma in un momento di comunione per la famiglia del Policlinico Gemelli. Nel pomeriggio caldo, in tanti affollano il piazzale degli Istituti Biologici per partecipare alla messa celebrata dal cardinale Angelo Scola. L’arcivescovo di Milano legge l’omelia che Francesco aveva preparato in occasione della visita. E’ l’amore di Dio il cuore del discorso del Papa, un amore declinato in tanti aspetti. Si ricorda che il Signore è fedele, “sopporta le nostre infedeltà, le nostre lentezze, le nostre cadute”. “Non ha paura di legarsi”, “ama i legami, crea i legami: legami che liberano e non costringono”:
“Oggi in particolare la fedeltà è un valore in crisi perché siamo indotti a cercare sempre il cambiamento, una presunta novità, negoziando le radici della nostra esistenza, della nostra fede. Senza fedeltà alle sue radici, però, una società non va avanti: può fare grandi progressi tecnici, ma non un progresso integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”.
L’amore di Dio – sottolinea il cardinale Scola, riportando le parole del Papa - è fedele e questo si manifesta nell’averci donato Gesù:
“Per onorare il legame di Dio con il suo popolo, si è fatto nostro schiavo, si è spogliato della sua gloria e ha assunto la forma di servo. Nel suo amore non si è arreso davanti alla nostra ingratitudine e nemmeno davanti al rifiuto”.
Papa Francesco aggiunge che Gesù ci aspetta sempre per perdonarci perché è il volto misericordioso del Padre. L’amore è l’umiltà del cuore di Gesù che si è mostrato ai piccoli e non ai potenti, offrendo il suo amore “con mitezza e umiltà”:
"Noi possiamo sperimentare e assaporare la tenerezza di questo amore in ogni stagione della vita: nel tempo della gioia e in quello della tristezza, nel tempo della salute e in quello dell’infermità e della malattia.  La fedeltà di Dio ci insegna ad accogliere la vita come avvenimento del suo amore e ci permette di testimoniare questo amore ai fratelli in un servizio umile e mite".
Lo stesso servizio che i medici, i paramedici, i volontari del Gemelli compiono, portando “ai malati  un po’ dell’amore del Cuore di Cristo”, “con competenza e professionalità”. Compito – ricorda il cardinale Scola nell’omelia del Papa - che è in linea con i valori fondanti che Padre Gemelli pose alla base dell’Ateneo dei cattolici italiani, “per coniugare la ricerca scientifica illuminata dalla fede e la preparazione di qualificati professionisti cristiani”.
Infine, nel suo consueto stile, Papa Francesco interroga la coscienza di ognuno e lo fa con domande che arrivano al cuore di tante persone: sono piccoli semi che getta e che mettono in dubbio le nostre certezze:
“Com’è il mio amore per il prossimo? So essere fedele? Oppure sono volubile, seguo i miei umori e le mie simpatie? Ciascuno di noi può rispondere nella propria coscienza. Ma soprattutto possiamo dire al Signore: Signore Gesù, rendi il mio cuore sempre più simile al tuo, pieno di amore e di fedeltà”.
Al termine della messa poi il cardinale Scola invia un particolare saluto a Papa Francesco:
“Sono certo di interpretare il cuore e la mente di tutti noi nell’inviare da qui un grande abbraccio a Papa Francesco, perché presto superi questa indisposizione”.

Aforisma di venerdì 27 giugno 2014

Kaliméra di Edmund Burke ( statista irlandese del’700 ): "Perché il male trionfi, è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione".
Havete!
Don Carlo
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“Il Signore non lascia senza premio ogni vostro buon pensiero.”
San Padre Pio da Pietrelcina

giovedì 26 giugno 2014

SINODO DELLA FAMIGLIA Presentato l'Instrumentum Laboris


La famiglia di fronte al Vangelo, alle difficoltà ed alla trasmissione della vita e della fede: sono i tre ambiti in cui si sviluppa l’Instrumentum Laboris, il documento di lavoro del Sinodo straordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre prossimi. Presentato oggi in conferenza stampa, l’Instrumentum Laboris sintetizza le risposte delle Chiese locali al questionario su matrimonio e famiglia, proposto nel novembre scorso dal Documento preparatorio al Sinodo.
Famiglia, cellula fondamentale della società. Ma famiglia in crisi. Ruota su questi due assi il documento di lavoro del prossimo Sinodo. Un ritratto analitico delle principali sfide e difficoltà che i nuclei familiari devono affrontare oggi, con una riflessione costante sull’aiuto offerto dalla Chiesa, già in atto, o da attuare. Disgregata, scoraggiata, confusa, poco preparata: la famiglia di oggi viene presentata così. Ma non mancano segnali positivi di speranza, soprattutto fra i giovani e là dove l’approccio della Chiesa non è visto come “esclusivo”, bensì “inclusivo” nei riguardi di chi vive situazioni irregolari.
L’Instrumentum Laboris è suddiviso in tre parti. La prima, dedicata alla comunicazione del Vangelo della famiglia, si concentra su due aspetti: la difficoltà di comprendere il valore della “legge naturale”, posta alla base della dimensione sponsale tra uomo e donna, e la privatizzazione della famiglia. Il primo aspetto apre il rischio della teoria del gender, mina l’idea del “per sempre” per l’unione coniugale, porta ad accettare la poligamia o il ripudio del coniuge, favorisce divorzio, convivenza e contraccezione. La privatizzazione della famiglia, invece, ne azzera il ruolo di cellula fondamentale della società. Per questo, si richiede che i nuclei familiari siano tutelati dallo Stato e recuperino il loro ruolo di soggetti sociali in tutti i contesti. Vera “Chiesa domestica”, la famiglia deve avere legame costante anche con la parrocchia, “famiglia di famiglie”.
La seconda parte dell’Instrumentum si concentra, invece, sulle situazioni critiche che la famiglia deve affrontare oggi: la debolezza della figura paterna, la frammentazione dovuta a divorzi e separazioni, la tratta dei minori, le droghe, l’alcolismo, la ludopatia, la dipendenza da social network che impedisce il dialogo e ruba il tempo alle relazioni interpersonali. Il documento sinodale mette in evidenza anche l’incidenza del lavoro sulla vita familiare: orari estenuanti, precarietà, lunghi spostamenti, assenza del riposo domenicale ostacolano la possibilità di stare in famiglia. Altri fattori di criticità sono le migrazioni, la povertà, il consumismo, le guerre, l’approccio alla malattia, soprattutto all’Aids, e la diversità di culto tra i coniugi da cui deriva la difficoltà di educare i figli.
Ma l’Instrumentum non nasconde le “contro-testimonianze nella Chiesa” come gli scandali sessuali, la pedofilia, l’incoerenza di quei presbiteri con uno stile di vita “vistosamente agiato”. Tutto questo – spiega il documento sinodale – porta ad una “rilevante perdita di credibilità morale” da parte della Chiesa.
Ancora: il documento dedica un’ampia parte alle “situazioni di irregolarità canonica”, poiché le risposte pervenute si concentrano soprattutto sui divorziati risposati. In generale, si mette in risalto il numero consistente di chi vive con “noncuranza” tale condizione e non richiede, quindi, di potersi accostare ai Sacramenti.  Tanti, invece, si sentono emarginati, avvertono il divieto di accedere ai Sacramenti come una punizione ed aprono la via ad una “mentalità rivendicativa” nei confronti dei Sacramenti stessi. Alcune Conferenze episcopali chiedono quindi nuovi strumenti per aprire la possibilità di esercitare “misericordia, clemenza ed indulgenza” nei confronti delle nuove unioni. Altre soluzioni – come il guardare alle Chiese ortodosse che, in determinate circostanze, ammettono le seconde nozze – non eliminano il problema dei divorzi.  
Quanto alla proposta di semplificare le cause matrimoniali – ad esempio, riconsiderando se sia davvero necessaria la doppia sentenza conforme quando non c’è richiesta d’appello - il documento sinodale invita alla prudenza, per evitare ingiustizie ed errori e per non alimentare l’idea di un “divorzio cattolico”. Al contrario, si suggerisce una preparazione adeguata di persone qualificate per seguire tali casi. Ad ogni modo - si legge nel testo - snellire il processo canonico è utile solo se si affronta la pastorale familiare in modo integrale.
L’Instrumentum evidenzia, in sostanza, che per le situazioni difficili la Chiesa non debba assumere un atteggiamento di giudice che condanna, ma quello di una madre che sempre accoglie i suoi figli, sottolineando che “il non poter accedere ai Sacramenti non significa essere esclusi dalla vita cristiana e dal rapporto con Dio”. In quest’ottica, massima accoglienza e disponibilità viene richiesta ai parroci nel caso in cui non praticanti e non credenti chiedano il matrimonio, poiché ciò può essere un’occasione propizia per evangelizzare la coppia. Imprescindibile rimane, inoltre, la necessità che la Chiesa accompagni i coniugi anche dopo le nozze.
Circa le unioni omosessuali, tutte le Conferenze episcopali si dicono contrarie all’introduzione di una legislazione che permetta tali unioni, ridefinendo il matrimonio tra uomo e donna e consentendo l’adozione di bambini. Viene comunque richiesto un atteggiamento rispettoso e non giudicante nei confronti di queste persone.
Nella terza parte, dedicata alla responsabilità educativa, l’Instrumentum constata come la dottrina della Chiesa sull’apertura alla vita da parte degli sposi sia poco conosciuta e quindi considerata un’ingerenza nella coppia. Di qui, ad esempio, la confusione che si crea tra i contraccettivi  ed i metodi naturali di regolazione della fertilità: erroneamente ritenuti inefficaci, essi andrebbero, invece, spiegati, anche in collaborazione con centri universitari appositi. Necessario, inoltre, dare più spazio a tale tematica nella formazione dei presbiteri, poiché spesso i sacerdoti risultano impreparati sull’argomento. Spiegazioni da parte della Chiesa che siano chiare e che vadano oltre la condanna generica, vengono richieste anche per affrontare l’ideologia del gender, “sempre più pervasiva”, e la profilassi contro l’Aids, così da rispondere ad alcune “riduzioni caricaturali” dei media e per evitare di racchiudere il problema in una mera questione “tecnica”.
Riguardo, infine, alla trasmissione della fede all’interno della famiglia - soprattutto quando genitori in situazione irregolare chiedono i Sacramenti per i propri figli – l’approccio più richiesto è l’accoglienza senza pregiudizio, perché “molte volte sono i figli ad evangelizzare i genitori” ed affinché i ragazzi comprendano che “irregolari sono le situazioni, non le persone”.
“Appare sempre più necessaria – si legge nel documento – una pastorale sensibile, guidata dal rispetto di queste situazioni irregolari, capace di offrire un fattivo sostegno all’educazione dei figli”. L’Instrumentum Laboris si conclude, quindi, con la Preghiera scritta da Papa Francesco e recitata all’Angelus del 29 dicembre 2013, nella Festa della Santa Famiglia di Nazareth.
Di seguito, un’ampia sintesi non ufficiale dell’Instrumentum Laboris, preparata presso la Radio Vaticana:
Premessa. L’Instrumentum Laboris racchiude e sintetizza le risposte al questionario sui temi del matrimonio e della famiglia, contenuto del Documento preparatorio al Sinodo, reso noto a novembre 2013. Da ricordare che il Sinodo del prossimo ottobre, dedicato al tema “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, sarà un Sinodo “straordinario”, legato all’urgenza della questione da trattare. Il suo compito primario sarà quello di valutare ed approfondire i dati presentati dalle Chiese particolari. Le linee pastorali, invece, saranno al centro del Sinodo generale ordinario che si terrà nell’ottobre 2015, sul tema: “Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione della famiglia”.radiovaticana.va
La prima parte dell’Instrumentum - “Comunicare il Vangelo della famiglia oggi” – innanzitutto ribadisce il “dato biblico” della famiglia, basata sul matrimonio tra uomo e donna, creati ad immagine e somiglianza di Dio e collaboratori del Signore nell’accogliere e trasmettere la vita. Quindi, dopo aver ricordato i tanti documenti della Chiesa dedicati al tema della famiglia – tra cui l’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI – l’Instrumentum ne rileva la scarsa conoscenza tra i fedeli, anche a causa di sacerdoti poco preparati che non sanno affrontare nel modo giusto l’argomento matrimonio-famiglia, in particolare riguardo alla sfera della sessualità e della procreazione. L’insegnamento della Chiesa in proposito viene accettato dai fedeli parzialmente: in generale, si dice sì alla difesa della dignità della vita umana, mentre si fa resistenza alla dottrina sul controllo delle nascite, sul divorzio o sulle relazioni prematrimoniali. Il tutto è dovuto anche al contesto sociale contemporaneo, in cui prevalgono l’individualismo, il materialismo, la “cultura dello scarto”. Di qui, l’esigenza di trovare nuovi modi, nuovi linguaggi per trasmettere gli insegnamenti della Chiesa nel settore, formando in modo adeguato gli operatori pastorali.
Una riflessione specifica viene poi dedicata alla difficoltà di comprendere il significato ed il valore della “legge naturale”, posta alla base della dimensione sponsale tra uomo e donna. Per molti, “naturale” è sinonimo di “spontaneo”, il che comporta che i diritti umani vengano intesi come l’autodeterminazione del singolo soggetto che punta alla realizzazione dei propri desideri. E questo apre alla teoria del gender, mina l’idea del “per sempre” per l’unione coniugale, porta ad accettare la poligamia o il ripudio del coniuge. Non riconoscendo una legge naturale, le coppie di oggi praticano il divorzio, la convivenza, la contraccezione, anche perché – soprattutto in Europa ed America settentrionale – i figli sono visti come un ostacolo al benessere personale.
Un’altra grande sfida indicata dall’Instrumentum è la privatizzazione della famiglia, non più intesa come elemento attivo della società e cellula fondamentale di essa. Per questo, si richiede che i nuclei familiari siano tutelati dallo Stato e recuperino il loro ruolo di soggetti sociali nei diversi contesti: lavoro, educazione, sanità, difesa della vita. Guardando, poi, al modello della Santa Famiglia di Nazareth, il documento sinodale ribadisce l’importanza dei genitori come primi educatori della fede, sottolinea la distinzione dei ruoli tra padre e madre, ma anche la loro reciprocità ed il loro coinvolgimento nella crescita dei figli e dell’economia domestica. Vera “Chiesa domestica”, la famiglia va costruita ogni giorno “con pazienza, comprensione ed amore” per permettere lo sviluppo integrale dell’individuo. Due, in particolare, gli elementi raccomandati dal documento: il legame costante tra famiglia e parrocchia, “famiglia di famiglie”, e una formazione continua - teologica, ma anche umana ed esistenziale - per i nuclei familiari in crisi, soprattutto là dove si registra la violenza domestica. “Risanare le ferite subite e sradicare le cause che le hanno determinate”, si legge nell’Istrumentum, perché abuso, violenza e abbandono non permettono alcuna crescita.
La seconda parte dell’Instrumentum – “La pastorale della famiglie di fronte alle nuove sfide” – dopo aver ricordato l’importanza della preparazione al matrimonio, della promozione della pietà popolare a sostegno della famiglia e di una spiritualità familiare autenticamente missionaria e non troppo autoreferenziale, entra nel vivo delle sfide pastorali contemporanee. Tante le situazioni critiche che la famiglia deve affrontare oggi: la debolezza della figura paterna, la frammentazione dovuta a divorzi e separazioni, le violenze e gli abusi su donne e bambini (“un dato davvero inquietante che interroga tutta la società e la pastorale familiare della Chiesa”), la tratta dei minori, le droghe, l’alcolismo, la ludopatia, la dipendenza da social network che impedisce il dialogo in famiglia e ruba il tempo libero alle relazioni interpersonali.
Il documento sinodale mette in evidenza anche l’incidenza del lavoro sulla vita familiare: orari estenuanti, precarietà, flessibilità che comporta lunghi spostamenti, l’assenza del riposo domenicale ostacolano la possibilità di stare insieme, in famiglia. Dalla Chiesa, quindi, ci si aspetta “concreto sostegno” per impieghi dignitosi, salari giusti, una politica fiscale a favore della famiglia. Altri fattori di criticità sono le migrazioni, per le quali si insiste sulla necessità di facilitare il ricongiungimento familiare; la povertà; il consumismo; le guerre; la diversità di culto tra i coniugi da cui deriva la difficoltà di educare i figli; l’approccio alla malattia, soprattutto all’Aids. Ma l’Instrumentum non nasconde la “contro-testimonianza nella Chiesa” come gli scandali sessuali, la pedofilia, l’incoerenza di quei presbiteri con uno stile di vita “vistosamente agiato” o che assumono atteggiamenti di esclusione nei confronti di divorziati o genitori single. Tutto questo – spiega il documento sinodale – porta ad una “rilevante perdita di credibilità morale” da parte della Chiesa.
L’Instrumentum affronta, poi, le situazioni pastorali difficili e sottolinea come la convivenza e le unioni di fatto spesso siano dovute ad una scarsa formazione sul matrimonio, alla percezione dell’amore solo come “un fatto privato”, alla paura dell’impegno coniugale inteso come perdita della libertà individuale. Non mancano ragioni sociali, tra cui la disoccupazione giovanile, la mancanza di un’abitazione e di politiche familiari adeguate. Educazione all’affettività e presenza amorevole della Chiesa sono, quindi, tra le proposte avanzate nell’Instrumentum per aiutare soprattutto i giovani ad intendere l’amore come tensione ad un progetto di vita in comune con un’altra persona, e non come visione romantica di un sentimento.
Ancora: il documento dedica un’ampia parte alla “situazioni di irregolarità canonica”, poiché le risposte pervenute si concentrano soprattutto sui divorziati risposati. In generale, si mette in risalto il numero consistente di chi vive con “noncuranza” tale condizione e non richiede, quindi, di potersi accostare all’Eucaristia o alla riconciliazione. Altre volte, invece, tanti si sentono emarginati, si domandano perché altri peccati vengono perdonati e questo no, avvertono il divieto di accedere ai sacramenti come una punizione e, di conseguenza, aprono la via ad una “mentalità rivendicativa” nei confronti dei sacramenti stessi. In certi casi, alcune Conferenze episcopali chiedono nuovi strumenti per aprire la possibilità di esercitare “misericordia, clemenza ed indulgenza” nei confronti delle nuove unioni. Altre soluzioni – come il singolo sacerdote che accondiscende ad una singola richiesta di accesso ai sacramenti, o il guardare alle Chiese ortodosse che, in determinate circostanze, ammettono le seconde nozze – non fanno sentire i fedeli riammessi pubblicamente nella vita della Chiesa e non eliminano i divorzi. 
Quanto alla proposta di semplificare le cause matrimoniali – ad esempio, riconsiderando se sia davvero necessaria la doppia sentenza conforme quando non c’è richiesta d’appello - il documento sinodale invita alla prudenza, per evitare ingiustizie ed errori e per non alimentare l’idea di un “divorzio cattolico”. Al contrario, si suggerisce una preparazione adeguata di persone qualificate per seguire tali casi e l’incremento ad esempio, del numero di tribunali preposti. In ogni caso, emerge chiaramente l’idea che snellire il processo canonico è utile solo se si affronta la pastorale familiare in modo integrale.
In sostanza, l’Instrumentum evidenzia che per le situazioni difficili la Chiesa non deve assumere un atteggiamento di giudice che condanna, ma quello di una madre che sempre accoglie i suoi figli, sottolineando che “il non poter accedere ai sacramenti non significa essere esclusi dalla vita cristiana e dal rapporto con Dio”. In quest’ottica, massima accoglienza e disponibilità viene richiesta ai parroci nel caso in cui non praticanti e non credenti chiedano il matrimonio, poiché ciò può essere un’occasione propizia per evangelizzare la coppia. Imprescindibile rimane, inoltre, la necessità che la Chiesa accompagni le coppie anche dopo le nozze, con incontri mirati.
Circa le unioni tra persone dello stesso sesso, inoltre, si mette in luce che tutte le Conferenze episcopali dicono no all’introduzione di una legislazione che permetta tale unione “ridefinendo” il matrimonio tra uomo e donna. Viene comunque richiesto un atteggiamento rispettoso e non giudicante nei confronti di queste persone, mentre si evidenzia la mancanza di programmi pastorali al riguardo, poiché si tratta di fenomeni recenti. Allo stesso tempo, le risposte riportate nell’Istrumentum si pronunciano contro una legislazione che permetta l’adozione di bambini da parte di persone in unione omosessuale, perché si vede messo a rischio il bene integrale del minore, che ha bisogno di una madre ed un padre. Tuttavia, se tali persone chiedono il battesimo per il bambino, esso deve essere accolto con “la stessa cura, tenerezza e sollecitudine” che si ha nei confronti degli altri minori.
La terza parte del documento – “L’apertura alla vita e la responsabilità educativa” – innanzitutto constata come la dottrina della Chiesa sull’apertura alla vita da parte degli sposi sia poco conosciuta nella sua dimensione positiva e quindi considerata un’ingerenza nella coppia e una limitazione all’autonomia della coscienza. Di qui, la confusione che si crea tra i contraccettivi  ed i metodi naturali di regolazione della fertilità: erroneamente ritenuti inefficaci, essi invece – spiega il documento sinodale – rispettano l’ecologia umana e la dignità della relazione sessuale fra i coniugi. Relativamente alla profilassi contro l’Aids, si richiede alla Chiesa di spiegare meglio la sua posizione, anche per rispondere ad alcune “riduzioni caricaturali” dei media e per evitare di racchiudere il problema in una mera questione “tecnica”, quando invece si tratta di “drammi che segnano profondamente la vita di innumerevoli persone”.
Risposte fondate, che vadano oltre la condanna generica, vengono richieste anche per affrontare l’ideologia del gender, “sempre più pervasiva”, mentre si sottolinea l’importanza di spiegare i metodi di regolazione naturale della fertilità in collaborazione con centri universitari appositi e dando più spazio a tale tematica nella formazione dei presbiteri, poiché spesso i sacerdoti risultano impreparati sull’argomento. In generale, comunque, il suggerimento è quello di promuovere una mentalità aperta alla vita anche grazie all’impegno civile dei cristiani nel favorire leggi e strutture che sostengano la vita nascente.
Riguardo, infine, alla trasmissione della fede all’interno della famiglia, l’Instrumentum sottolinea la cautela, dovuta all’insicurezza, con la quale oggi i genitori spingono i figli alla pratica religiosa, e richiama l’importanza di sostenere le scuole cattoliche, che sempre più suppliscono alla famiglia e devono quindi creare “un’atmosfera accogliente, capace di mostrare il vero volto di Dio”.  Quanto alla trasmissione della fede in contesti difficili – come ad esempio quello in cui genitori in situazione irregolare chiedono i sacramenti per i propri figli – l’approccio più richiesto è l’accoglienza senza pregiudizio, perché “molte volte sono i figli ad evangelizzare i genitori” ed affinché i ragazzi comprendano che “irregolari sono le situazioni, non le persone”. “Appare sempre più necessaria – si legge nel documento – una pastorale sensibile, guidata dal rispetto di queste situazioni irregolari, capace di offrire un fattivo sostegno all’educazione dei figli”. In quest’ottica, va rivalutato il ruolo del padrino e della madrina nel cammino di fede di bambini e ragazzi, mentre un accompagnamento pastorale specifico viene richiesto per i matrimoni misti e con disparità di culto. L’Instrumentum Laboris si conclude, quindi, con la Preghiera scritta da Papa Francesco e recitata all’Angelus del 29 dicembre 2013, nella Festa della Santa Famiglia di Nazareth.

AFORISMA DI GIOVEDÌ 26 GIUGNO 2014

Kaliméra dai gladiatori romani, reso attuale da un anonimo contemporaneo: "Ave Caesar ( Prandelli ), morituri ( mortui-zombi ) te salutant”.
Havete!
Don Carlo
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“Perdono è quasi sempre sofferenza
ma chi sa perdonare
entra dalla porta principale nella grandezza.”
Anonimo 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno. Oggi c’è un altro gruppo di pellegrini collegati con noi nell’Aula Paolo VI, sono i pellegrini ammalati. Perché con questo tempo, fra il caldo e la possibilità di pioggia, era più prudente che loro rimanessero là. Ma loro sono collegati con noi tramite il maxischermo. E così siamo uniti nella stessa udienza. E tutti noi oggi pregheremo specialmente per loro, per le loro malattie. Grazie. Nella prima catechesi sulla Chiesa, mercoledì scorso, siamo partiti dall’iniziativa di Dio che vuole formare un popolo che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra. Incomincia con Abramo e poi, con tanta pazienza - e Dio ne ha, ne ha tanta! -, prepara questo popolo nell’Antica Alleanza finché, in Gesù Cristo, lo costituisce come segno e strumento dell’unione degli uomini con Dio e tra di loro (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 1). Oggi vogliamo soffermarci sull’importanza, per il cristiano, di appartenere a questo popolo. Parleremo sulla appartenenza alla Chiesa. Non siamo isolati e non siamo cristiani a titolo individuale, ognuno per conto proprio, no, la nostra identità cristiana è appartenenza! Siamo cristiani perché apparteniamo alla Chiesa. È come un cognome: se il nome è “sono cristiano”, il cognome è “appartengo alla Chiesa”. È molto bello notare come questa appartenenza venga espressa anche nel nome che Dio attribuisce a sé stesso. Rispondendo a Mosè, nell’episodio stupendo del “roveto ardente” (cfr Es 3,15), si definisce infatti come il Dio dei padri. Non dice: Io sono l’Onnipotente, no: Io sono il Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. In questo modo Egli si manifesta come il Dio che ha stretto un’alleanza con i nostri padri e rimane sempre fedele al suo patto, e ci chiama ad entrare in questa relazione che ci precede. Questa relazione di Dio con il suo popolo ci precede tutti, viene da quel tempo.
Index 




PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 25 giugno 2014

La Chiesa: 2. L'appartenenza al popolo di Dio
Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Oggi c’è un altro gruppo di pellegrini collegati con noi nell’Aula Paolo VI, sono i pellegrini ammalati. Perché con questo tempo, fra il caldo e la possibilità di pioggia, era più prudente che loro rimanessero là. Ma loro sono collegati con noi tramite il maxischermo. E così siamo uniti nella stessa udienza. E tutti noi oggi pregheremo specialmente per loro, per le loro malattie. Grazie.
Nella prima catechesi sulla Chiesa, mercoledì scorso, siamo partiti dall’iniziativa di Dio che vuole formare un popolo che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra. Incomincia con Abramo e poi, con tanta pazienza - e Dio ne ha, ne ha tanta! -, prepara questo popolo nell’Antica Alleanza finché, in Gesù Cristo, lo costituisce come segno e strumento dell’unione degli uomini con Dio e tra di loro (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 1). Oggi vogliamo soffermarci sull’importanza, per il cristiano, di appartenere a questo popolo. Parleremo sulla appartenenza alla Chiesa.
1. Non siamo isolati e non siamo cristiani a titolo individuale, ognuno per conto proprio, no, la nostra identità cristiana è appartenenza!Siamo cristiani perché apparteniamo alla Chiesa. È come un cognome: se il nome è “sono cristiano”, il cognome è “appartengo alla Chiesa”. È molto bello notare come questa appartenenza venga espressa anche nel nome che Dio attribuisce a sé stesso. Rispondendo a Mosè, nell’episodio stupendo del “roveto ardente” (cfr Es 3,15), si definisce infatti come il Dio dei padri.Non dice: Io sono l’Onnipotente…, no: Io sono il Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. In questo modo Egli si manifesta come il Dio che ha stretto un’alleanza con i nostri padri e rimane sempre fedele al suo patto, e ci chiama ad entrare in questa relazione che ci precede.Questa relazione di Dio con il suo popolo ci precede tutti, viene da quel tempo.
2. In questo senso, il pensiero va in primo luogo, con gratitudine, a coloro che ci hanno preceduto e che ci hanno accolto nella Chiesa. Nessuno diventa cristiano da sé! E’ chiaro questo? Nessuno diventa cristiano da sé. Non si fanno cristiani in laboratorio. Il cristiano è parte di un popolo che viene da lontano. Il cristiano appartiene a un popolo che si chiama Chiesa e questa Chiesa lo fa cristiano, nel giorno del Battesimo, e poi nel percorso della catechesi, e così via. Ma nessuno, nessuno diventa cristiano da sé. Se noi crediamo, se sappiamo pregare, se conosciamo il Signore e possiamo ascoltare la sua Parola, se lo sentiamo vicino e lo riconosciamo nei fratelli, è perché altri, prima di noi, hanno vissuto la fede e poi ce l’hanno trasmessa. La fede l’abbiamo ricevuta dai nostri padri, dai nostri antenati, e loro ce l’hanno insegnata. Se ci pensiamo bene, chissà quanti volti cari ci passano davanti agli occhi, in questo momento: può essere il volto dei nostri genitori che hanno chiesto per noi il Battesimo; quello dei nostri nonni o di qualche familiare che ci ha insegnato a fare il segno della croce e a recitare le prime preghiere. Io ricordo sempre il volto della suora che mi ha insegnato il catechismo, sempre mi viene in mente – lei è in Cielo di sicuro, perché è una santa donna - ma io la ricordo sempre e rendo grazie a Dio per questa suora. Oppure il volto del parroco, di un altro prete, o di una suora, di un catechista, che ci ha trasmesso il contenuto della fede e ci ha fatto crescere come cristiani… Ecco, questa è la Chiesa: una grande famiglia, nella quale si viene accolti e si impara a vivere da credenti e da discepoli del Signore Gesù.
3. Questo cammino lo possiamo vivere non soltanto grazie ad altre persone, ma insieme ad altre persone. Nella Chiesa non esiste il “fai da te”, non esistono “battitori liberi”. Quante volte Papa Benedetto ha descritto la Chiesa come un “noi” ecclesiale! Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”. Quante volte abbiamo sentito questo? E questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose. Sono, come diceva il grande Paolo VI, dicotomie assurde. È vero che camminare insieme è impegnativo, e a volte può risultare faticoso: può succedere che qualche fratello o qualche sorella ci faccia problema, o ci dia scandalo… Ma il Signore ha affidato il suo messaggio di salvezza a delle persone umane, a tutti noi, a dei testimoni; ed è nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, con i loro doni e i loro limiti, che ci viene incontro e si fa riconoscere. E questo significa appartenere alla Chiesa. Ricordatevi bene: essere cristiano significa appartenenza alla Chiesa. Il nome è “cristiano”, il cognome è “appartenenza alla Chiesa”.
Cari amici, chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, la grazia di non cadere mai nella tentazione di pensare di poter fare a meno degli altri, di poter fare a meno della Chiesa, di poterci salvare da soli, di essere cristiani di laboratorio. Al contrario, non si può amare Dio senza amare i fratelli, non si può amare Dio fuori della Chiesa; non si può essere in comunione con Dio senza esserlo nella Chiesa, e non possiamo essere buoni cristiani se non insieme a tutti coloro che cercano di seguire il Signore Gesù, come un unico popolo, un unico corpo, e questo è la Chiesa. Grazie.

Saluti:
Je vous salue bien cordialement chers amis de langue française, en particulier les personnes engagées dans la société civile, accompagnées de Monseigneur Dominique Rey. Je vous souhaite un bon pèlerinage à Rome, et je vous invite à découvrir combien l’Église est une grande famille, dans laquelle, avec nos frères, nous rencontrons le Christ.
Que Dieu vous bénisse!
[Saluto cordialmente i cari amici di lingua francofona, in particolare le persone impegnate nella società civile, accompagnate da Mons. Dominique Rey. Vi auguro un buon pellegrinaggio a Roma e vi invito a scoprire come la Chiesa sia una grande famiglia, nella quale con i nostri fratelli incontriamo Cristo. Dio vi benedica!]
I offer a cordial greeting to the delegation of Bethlehem University, which this year celebrates the fortieth anniversary of its establishment, with appreciation for its praiseworthy educational apostolate among the Palestinian people. I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including those from England and Wales, Scotland, Ireland, Sweden, Greece, Australia, Taiwan, Vietnam, India, the Antilles and the United States. Upon all of you, and upon your families, I invoke joy and peace in the Lord Jesus.
[Porgo un saluto cordiale alla delegazione della Bethlehem University, che quest’anno celebra il quarantesimo anniversario di fondazione, con particolare riconoscenza per la lodevole attività accademica svolta a favore del popolo palestinese. Saluto tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra e Galles, Scozia, Irlanda, Svezia, Grecia, Australia, Taiwan, Vietnam, India, Antille, e Stati Uniti. Su voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace nel Signore Gesù.]
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los peregrinos de la Archidiócesis de Madrid y de La Escuela Franciscana, de San Pedro Sula, así como a los demás grupos provenientes de España, México, Honduras, Colombia, Chile, Argentina y otros países latinoamericanos. Recuerden que, como cristianos, no podemos prescindir de los demás, de la Iglesia; no podemos salvarnos por nosotros solos, ninguno «juega de libre», somos un pueblo en camino. Muchas gracias.
Com cordial afecto, saúdo todos os peregrinos de língua portuguesa, em especial o grupo brasileiro de Nossa Senhora da Consolata, em São Manoel, e os fiéis do Santuário de Nossa Senhora do Porto, em Portugal. Irmãos e amigos, estais em boas mãos, estais nas mãos da Virgem Maria. Ela vos proteja da tentação de prescindir dos outros, de pôr a Igreja de lado, de pensar em salvar-vos sozinhos. Rezai por mim! Que Deus vos abençoe!
[Con cordiale affetto, saluto tutti i pellegrini di lingua portoghese,in modo speciale il gruppo brasiliano di Nossa Senhora da Consolata, da São Manoel, e i fedeli del Santuário de Nossa Senhora do Porto, nel Portogallo. Fratelli e amici, siete in buone mani, siete nelle mani della Vergine Maria. Essa vi protegga dalla tentazione di fare a meno degli altri, di mettere da parte la Chiesa, di pensare di salvarvi da soli. Pregate per me! Dio vi benedica!]
أُُرحّبُ بالحجّاجِ الناطقينَ باللغةِ العربية، وخاصةً بالقادمينَ منالشرق الأوسط. أيها الأصدقاء الأعزاء، إن هويتنا المسيحية هي انتماء للجماعة الكنسيّة! لنطلب من الرب أن يفهمنا المعنى الحقيقي لهذا الانتماء وبأننا نشكّل معًا شعبًا واحدًا وجسدًا واحدًا! ليبارككم الرب!
[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari amici, la nostra identità Cristiana è appartenenza alla comunità ecclesiale! Chiediamo al Signore di farci capire il vero senso di quest’appartenenza e che insieme formiamo un solo popolo e un unico corpo! Il Signore vi benedica!]
Pozdrawiam serdecznie Polaków. W piątek przypada Uroczystość Najświętszego Serca Pana Jezusa. Niech będzie ona dla nas okazją uwielbienia Bożego Serca, które tak bardzo nas umiłowało. Im więcej w naszym życiu trosk, zmartwień i problemów, tym bardziej ufajmy Jezusowi, który zaprasza nas: „Przyjdźcie do Mnie wszyscy, którzy utrudzeni i obciążeni jesteście, a Ja was pokrzepię” Mt, 11, 28). Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.
[Saluto cordialmente tutti i polacchi. Venerdì celebreremo la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Sia essa per noi l’occasione per lodare il Cuore divino che così tanto ci ha amato. Quanto più nella nostra vita crescono le difficoltà, le preoccupazioni e i problemi, tanto più confidiamo in Gesù che ci invita: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Sia lodato Gesù Cristo.]
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana: parrocchie, associazioni e gruppi vari. In particolare, saluto le Suore Missionarie del Catechismo, che celebrano il 75° anniversario di fondazione; i sacerdoti di Chieti-Vasto e dell’Aquila, che ricordano 60 anni di sacerdozio, i seminaristi di Catania e Caltagirone: a ciascuno auguro di diffondere con entusiasmo la gioia del Vangelo. Saluto gli esponenti del Movimento ecclesiale carmelitano, esortandoli a testimoniare dappertutto che la fede cristiana risponde pienamente alle speranze e alle attese profonde dell’uomo. Saluto i fedeli delle parrocchie della Trasfigurazione e di Sant’Agostino in Altamura, di San Benedetto in Caserta e di Santa Maria Maggiore in Mazzarino: incoraggio tutti a sentire sempre più la comunità cristiana come luogo privilegiato di evangelizzazione, di formazione spirituale e di educazione alla carità. Saluto i rappresentanti dell’Osservatorio Diplomatico Internazionale, di Capurso, e il gruppo sportivo “Vita per la vita”, che invito a perseverare nei rispettivi impegni, diffondendo ovunque serenità e solidarietà.
Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. È ancora viva l’eco della solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, che abbiamo recentemente celebrato. Cari giovani, trovate sempre nell’Eucaristia il nutrimento della vostra vita spirituale. Voi, cari malati - specialmente voi che siete collegati con noi dall’Aula Paolo VI offrite la vostra sofferenza e la vostra preghiera al Signore, perché continui ad estendere il suo amore nel cuore degli uomini. E voi, cari sposi novelli, accostatevi all’Eucaristia con fede rinnovata, perché nutriti di Cristo siate famiglie animate da concreta testimonianza cristiana.



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Il Papa: Gesù scalda il cuore del popolo, la fede non è casistica


Il popolo segue Gesù perché riconosce che è il Buon Pastore. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia da chi riduce la fede a moralismo, insegue una liberazione politica o cerca accordi con il potere.
Perché tanta gente seguiva Gesù? E’ la domanda dalla quale Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia incentrata sul popolo e l’insegnamento del Signore. Gesù, ha osservato, era seguito dalle folle perché “erano stupite dal suo insegnamento”, le sue parole “davano stupore al loro cuore, lo stupore di trovare qualcosa buona, grande”. Gli altri invece “parlavano, ma non arrivavano al popolo”. Il Papa ha così enumerato quattro gruppi di persone che parlavano al tempo di Gesù: innanzitutto i farisei. Questi, ha detto, “facevano del culto di Dio, della religione, una collana di comandamenti e dei dieci che ce ne erano” ne “facevano più di trecento”, caricando “questo peso” sulle spalle del popolo. Era, ha soggiunto, “una riduzione della fede nel Dio Vivo” alla “casistica!”:
“Ma tu devi - per esempio - compiere il quarto comandamento!’; ‘Sì, sì, sì!’;  ‘Devi dare da mangiare al tuo papà anziano, alla tua mamma anziana!’; ‘Sì, sì, sì!’; ‘Ma lei sa, io non posso perché ho dato il mio denaro al tempio!’; ‘Tu non lo fai? E i genitori muoiono di fame!’. Così: contraddizioni della casistica più crudele. Il popolo li rispettava, perché il popolo è rispettoso. Li rispettava, ma non li ascoltava! Se ne andava…”Un altro gruppo, ha detto, era quello dei Sadducei. “Questi – ha osservato – non avevano fede, avevano perso la fede! Il loro mestiere religioso lo facevano sulla strada degli accordi con i poteri: i poteri politici, i poteri economici. Erano uomini di potere”. Un terzo gruppo, ha proseguito, “era quello dei rivoluzionari” ovvero gli zeloti che “volevano fare la rivoluzione per liberare il popolo di Israele dall’occupazione romana”. Il popolo, però, ha annotato il Papa, “ha buonsenso e sa distinguere quando la frutta è matura e quando non c’è! E non li seguiva!”. Il quarto gruppo, ha dunque affermato, era di “gente buona: si chiamavano gli Esseni”. Erano monaci che consacravano la loro vita a Dio. Tuttavia, ha ammonito, “loro erano lontani dal popolo e il popolo non poteva seguirli”.
Queste, ha affermato il Pontefice, “erano le voci che arrivavano al popolo e nessuna di queste voci aveva la forza di riscaldare il cuore del popolo”. “Ma Gesù, sì! Le folle – ha spiegato – erano stupite: sentivano Gesù e il cuore era caldo; il messaggio di Gesù arrivava al cuore!”. Gesù, ha ribadito Papa Francesco, “si avvicinava al popolo”, “guariva il cuore del popolo”, ne capiva le difficoltà. Gesù, ha detto ancora, “non aveva vergogna di parlare con i peccatori, andava a trovarli”, Gesù “sentiva gioia, gli faceva piacere andare con il suo popolo”. E questo perché Gesù è “il Buon Pastore”, le pecorelle sentono la sua voce e lo seguono:
“E per questo il popolo seguiva Gesù, perché era il Buon Pastore. Non era né un fariseo casistico moralista, né un sadduceo che faceva gli affari politici con i potenti, né un guerrigliero che cercava la liberazione politica del suo popolo, né un contemplativo del monastero. Era un pastore! Un pastore che parlava la lingua del suo popolo, si faceva capire, diceva la verità, le cose di Dio: non negoziava mai le cose di Dio! Ma le diceva in tal modo che il popolo amava le cose di Dio. Per questo lo seguiva”.
 “Gesù – ha ripreso – mai si era allontanato dal popolo e mai si è allontanato da suo Padre”. Gesù, ha affermato ancora il Papa, “era tanto collegato al Padre - era uno col Padre!” e così era “tanto vicino al popolo”. Lui “aveva questa autorità e per questo il popolo lo seguiva”. Contemplando Gesù, Buon Pastore, è stato il suo invito, ci farà bene pensare chi ci piace seguire:
“‘A me chi piace seguire?’. Quelli che mi parlano di cose astratte o di casistiche morali; quelli che si dicono del popolo di Dio, ma non hanno fede e negoziano tutto con i poteri politici, economici; quelli che vogliono sempre fare cose strane, cose distruttive, guerre cosiddette di liberazione, ma che alla fine non sono le strade del Signore; o un contemplativo lontano? A chi piace a me seguire?”
“Che questa domanda – ha concluso il Papa – ci faccia arrivare alla preghiera e chiedere a Dio, il Padre, che ci faccia arrivare vicino a Gesù per seguire Gesù, per essere stupiti di quello che Gesù ci dice”.

mercoledì 25 giugno 2014

Aforisma di mercoledì 25 giugno 2014


Kaliméra di Samuel Beckett: "L’unico modo di parlare del niente è di parlare come se fosse qualcosa” (esperienza quotidiana).
Havete!
Don Carlo
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“La fede è il più grande dono che Dio ha potuto fare all’uomo su questa terra perché da uomo terrestre diviene cittadino del cielo.”
San Padre Pio da Pietrelcina

martedì 24 giugno 2014

La propria gloria è nel diminuire

                                                                  
Il 24 giugno è la festa di San Giovanni Battista. Festeggia Tirenze, festeggia Cesena, Festeggia Barcellona. Ma è soprattutto la festa di tutti quelli che sanno che la propria gloria è nel diminuire, perché un Altro a cui non si è nemmeno degni di legare i lacci dei sandali. Festa delle voci nel deserto. Degli annunciatori che non posseggono la verità. Perché quella, la verità o il volto di Dio, un giorno si è messo davanti, faccia a faccia. La cosa bellissima. La cosa che fa tremare. Il viso che non si sa come amare. E che dice: ora èl'inizio. Il viso che ti strappa dal petto il grido: eccolo, è lui.
Dr

CI VUOLE UN AMORE AL QUALE VENDERE L’ANIMA



In questo clima mondiale, in queste settimane da tifo obbligato, urlato e atteso, se non parli di calcio, dei mondiali, del fisico di Balotelli, del crollo della Spagna, dell’aiutinho dato al Brasile, non sei nessuno. Nessuno. Se non sai chi è Darmian, devi autosospenderti da questa vita e tornare a metà luglio. Nessuno si accorgerà della tua assenza. In questo clima mondiale, i giornali continuano però a tenersi un angolino di carta stampata da dedicare alle analisi sull’uomo, sui suoi problemi, sui suoi difetti. E in tutti, noti, con ovvia disinvoltura che il mondo è pervaso dalla paura. La paura di perdere qualcosa, la paura di accettare un nuovo lavoro, la paura di dire “ti amo” (alcuni americani hanno scoperto che i teenager d’oltreoceano dicono sempre meno la parola “per sempre”). C’è paura. La paura, non è come i Mondiali, è piuttosto come il caffè. Non viene ogni 4 anni. Essa viene sù ogni mattina, in molti gesti, in molte azioni. Abbiamo paura. Paura che non vada come vorremmo, paura che in fondo ci stiamo sbagliando. Paura. Paura del domani, paura delle nostre sicurezze (paradosso dei paradossi), paura dell’altro. La società moderna è la società della paura. Dello spavento. Della fragilità. La paura è ovvio, si sa, ha la sua umana dimora nella nostra imperfezione, nelle nostre manchevolezze, nelle nostre incapacità. La paura ci “addubbia” le cose certe, ce le fa vedere lontane, ce le oscura. La paura ama mangiare il cuore delle nostre verità. Come un tarlo. Ma non si può far la lotta savianesca contro la paura. Come un training autogeno in cui pensi di convincerti che non ne avrai più. Per vincere la paura ci vuole un’energia maggiore, non un’autoriflessione meditatrice. Ci vuole un uragano. Ci vuole altro. Ci vuole un amore che profumi di infinito, che brilli di stelle, che divampi l’oceano verso di noi. Ci vuole un amore così grande (canterebbero i Negramaro) al quale vendere la nostra anima, vendere i nostri “tentennamenti”. La riuscita della lotta contro la paura è proporzionale alla grandezza di questo amore che, tra le proprie mille espressività, ci dica “vai, sono con te”.
Peppino

Il Papa: il cristiano sa abbassarsi per annunciare il Signore


Un cristiano non annuncia se stesso, ma il Signore. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, nella solennità della Natività di San Giovanni Battista. Il Papa si è soffermato sulle vocazioni del “più grande tra i profeti”: preparare, discernere, diminuire.
Preparare la venuta del Signore, discernere chi sia il Signore, diminuire perché il Signore cresca. Papa Francesco ha indicato in questi tre verbi le vocazioni di Giovanni il Battista, modello sempre attuale per un cristiano. Giovanni, ha detto il Papa, preparava la strada a Gesù “senza prendere niente per sé. Era un uomo importante: “la gente lo cercava, lo seguiva perché le parole di Giovanni erano forti”. Le sue parole, ha proseguito, arrivavano “al cuore”. E lì, ha osservato, ha avuto forse “la tentazione di credere che fosse importante, ma non è caduto”. Quando, infatti, si avvicinarono i dottori della legge a chiedergli se fosse il Messia, Giovanni ha risposto: “Sono voce: soltanto voce”, ma “sono venuto a preparare la strada al Signore”. Ecco la prima vocazione del Battista, ha evidenziato il Papa: “Preparare il popolo, preparare il cuore del popolo per l’incontro con il Signore”. Ma chi è il Signore?:
“E questa è la seconda vocazione di Giovanni: discernere, fra tanta gente buona, chi fosse il Signore. E lo Spirito gli ha rivelato questo e lui ha avuto il coraggio di dire: ‘E’ questo. Questo è l’Agnello di Dio, quello che toglie i peccati del mondo’. I discepoli guardarono quest’uomo che passava e lo lasciarono andare. Il giorno dopo, è accaduto lo stesso: ‘E’ quello! E’ più degno di me’. I discepoli sono andati dietro di Lui. Nella preparazione, Giovanni diceva: ‘Dietro di me viene uno…’. Nel discernimento, che sa discernere e segnare il Signore, dice: ‘Davanti a me… è questo!’”.
La terza vocazione di Giovanni, ha proseguito, è diminuire. Da quel momento, annota il Pontefice, “la sua vita incominciò ad abbassarsi, a diminuire perché crescesse il Signore, fino ad annientare se stesso”: “Lui deve crescere, io invece diminuire”, “dietro di me, davanti a me, lontano da me”:
“E questa è stata la tappa più difficile di Giovanni, perché il Signore aveva uno stile che lui non aveva immaginato, a tal punto che nel carcere – perché era in carcere, in quel tempo – ha sofferto non solo il buio della cella, ma il buio nel suo cuore: ‘Ma, sarà questo? Non avrò sbagliato? Perché il Messia ha uno stile tanto alla mano... Non si capisce…’. E siccome era uomo di Dio, chiede ai suoi discepoli di andare da Lui a domandare: ‘Ma, sei Tu davvero, o dobbiamo aspettare un altro?’.
“L’umiliazione di Giovanni – ha constatato – è doppia: l’umiliazione della sua morte, come prezzo di un capriccio”, ma anche l’umiliazione “del buio dell’anima”. Giovanni che ha saputo “aspettare” Gesù, che ha saputo “discernere”, “adesso vede Gesù lontano”. “Quella promessa – ha ribadito il Papa – si è allontanata. E finisce solo. Nel buio, nell’umiliazione”. Resta solo “perché si è annientato tanto perché il Signore crescesse”. Giovanni, ha detto ancora, vede il Signore che è “lontano” e lui “umiliato, ma con il cuore in pace”:
“Tre vocazioni in un uomo: preparare, discernere, lasciare crescere il Signore e diminuire se stesso. Anche è bello pensare la vocazione del cristiano così. Un cristiano non annunzia se stesso, annunzia un altro, prepara il cammino a un altro: al Signore. Un cristiano deve sapere discernere, deve conoscere come discernere la verità da quello che sembra verità e non c’è: uomo di discernimento. E un cristiano dev’essere un uomo che sappia abbassarsi perché il Signore cresca, nel cuore e nell’anima degli altri”. http://it.radiovaticana.va/

AFORISMA DI MARTEDÌ 24 GIUGNO 2014


Il perdono libera l’anima e cancella la paura.”
Frase dal film “Invictus”
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Kaliméra da una lapide, in Normandia, di soldato canadese: "Quando il mio cuore è mesto, io non voglio soffermarmi sulla mia tristezza, ma voglio rivivere la felicità di cui abbiamo goduto”.
Havete!
Don Carlo

lunedì 23 giugno 2014

Una scomunica contro i mafiosi

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Le parole usate da papa Francesco in Calabria sono una chiara espressione dell'evangelico "sì, sì, no, no"

Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati”. Pesano come macigni le parole di Papa Francesco che affondano in una realtà – quella calabrese, e più in generale meridionale - piegata in due dalla morsa della criminalità organizzata. Una terra fatta di padroni e di signorotti locali.
Ma sabato, con Papa Francesco, non ce n’è per nessuno: in prima fila, al di là delle transenne, solo i disabili, senza kermesse di politici e di amministratori locali. E poi l’anatema. Forte, chiaro, limpido, senza mezzi termini. Come forte, chiaro, limpido e senza mezzi termini: è il “sì sì, no no” del Vangelo.
È dal 1948, con la lettera collettiva dell’Episcopato dell’Italia Meridionale, che la Chiesa inizia ufficialmente ad impegnarsi, anche nei suoi documenti, contro la criminalità organizzata. E di questo impegno ne ricostruisce la storia un interessante saggio del prof. Mario Casaburi nel suo libro Borghesia mafiosa (Dedalo, 2010).
Ancora, nel 2006, Mons. Giancarlo Bregantini, allora vescovo di Locri- Gerace, inviando una lettera ai parroci, scomunica chiunque violi la sacralità della vita. Ma quello che sorprende di Papa Bergoglio è il linguaggio esplicito, che non lascia spazio ad interpretazioni. Il Papa non usa un linguaggio politically correct. Ed anzi, va subito al sodo.
La strada del male è la strada della delinquenza organizzata, dell’illegalità, del guadagno sporco, della corruzione, del clientelismo, della distruzione dell’ecosistema; della mafia, insomma. La scomunica di Papa Francesco non colpisce soltanto il “mafioso” da intendersi come chi appartiene ad una organizzazione criminale, ma è per chiunque si macchi di un comportamento contrario all’etica civile ed al Vangelo. Il male delle nostre terre è infatti l’agire mafioso che ormai pervade ampi strati della società civile.
Il messaggio di Papa Francesco non dà adito a fraintendimenti. Chi pone in essere un comportamento mafioso incorre nella scomunica, la più grave delle sanzioni canoniche, perché esclude il battezzato dalla comunità dei fedeli. Quella pronunciata da Papa Francesco contro i mafiosi si configura come una scomunica laetae sententiae, cioè colpisce il soggetto, e quanti concorrono al delitto, automaticamente, senza bisogno di un accertamento dell’autorità ecclesiastica.
Con Papa Francesco, noi tutti, come Chiesa, ormai non abbiamo più attenuanti, anche nelle manifestazioni esteriori della pietà popolare. La strada del bene, la sola tracciata nel Vangelo, non passa, neanche per sbaglio, dalla strada del mal